26 Ottobre 2018
<<Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. >>. (cfr Efesini 4,1-6).
Impariamo dall’apostolo Paolo: egli, proprio perché è in prigione per Cristo Gesù, sperimenta una grande libertà al punto tale da non pensare a se stesso, alle sue catene, ma alla salvezza dei fratelli in umanità e nella comune fede in Gesù. Quando siamo “in” Cristo siamo davvero liberi! Paolo era ben consapevole della sua “chiamata”! Egli sapeva di esistere perché prima pensato e personalmente amato da Dio, Padre del Signore Gesù Cristo e, in Lui, Padre di ogni umana creatura: Padre nostro! Il “comportamento” di chi è chiamato/a deriva non da un principio etico, da norme, ma dalla fedeltà all’amore di Colui che ci chiama. Ogni relazione di benevolenza e di amore, se è davvero tale, è regolata (o dovrebbe essere regolata!) dalle “esigenze” intrinseche dell’amore; esigenze, già iscritte nell’originaria chiamata alla vita e all’amore … Quale consapevolezza abbiamo della nostra personale chiamata e come vi rispondiamo? <<Signore Dio, quale stordimento della mente e quale fuoco nel cuore sapere che prima del grembo dei miei genitori ero già nel seno della Trinità! Gratitudine infinita, spero con tutta la mia vita, e per sempre oltre ogni limite …>>. Buona giornata! P. Antonio